La sinistra liberal progressista è del tutto organica al neoliberismo di stampo atlantico, e non si può dire che la composizione sociale del suo elettorato non condivida questa collocazione. Il polo di centro destra, adesso al governo, è anch’esso organico al neoliberismo di stampo atlantico, anche se con sfumature diverse. La breve stagione populista aveva illuso molti che qualcosa potesse cambiare, che nuovi scenari potessero maturare. Non è andata così. Ma ciò non vuol dire che bisogna accontentarsi del meno peggio che il mercato politico mette a disposizione. Tra i due poli, e ci aggiungiamo pure quello stellato, non corrono differenze tali da giustificare attese interessanti sul piano della prospettiva politica a medio e lungo termine.
Oggi le differenze tra le formazioni politiche più rappresentative (con i rispettivi satelliti) corrono principalmente intorno a tematiche non strutturali. Il polo liberal progressista spinge verso i temi cari al transumanesimo globalista: diritti “civili” in chiave lgbt, genderismo, utero in affitto, immigrazionismo, cancellazione della storia, liberalizzazione delle droghe, eutanasia, aborto sempre più semplificato, cancellazione delle identità, solidarismo astratto e ipocrita; mentre il polo liberal conservatore, che sembra opporsi a tale degenerazione disgregativa del tessuto sociale, non è in grado di aggredire le cause strutturali del dispositivo transumano. Mentre sarebbe auspicabile che si definisse la capacità politica sia di contrastare i temi cari alle élite transumaniste sia di contrastare le politiche economico-sociali antipopolari, ben sapendo che ciò implica la conquista della sovranità nazionale, la quale può aversi solo svincolandosi dall’abbraccio mortale Nato-Ue.
La questione ucraina è emblematica. Nessuna differenza sostanziale tra i diversi schieramenti in campo, tutti a garantire il pieno asservimento alla Nato, quindi agli Usa, in un coinvolgimento crescente in termini di sostegno militare, finanziario e diplomatico. La guerra in Ucraina ufficialmente inizia il 24 febbraio 2022, ma sappiamo bene che essa è il portato di una serie incredibile di manovre avvolgenti Nato intorno ai confini russi, di cui il colpo di stato del 2014 a Kiev è parte del processo, con il corollario della brutale repressione nei confronti delle popolazioni russofone del Donbass. Ha ragione da vendere Alessandro Orsini quando dice che la questione non è che l’Ucraina entri nella Nato ma che ne deve uscire, in quanto essa è membro di fatto dell’organizzazione atlantica, in attesa solo del riconoscimento formale.
Gli Usa sono ben consapevoli che si sta sgretolando l’ordine geopolitico cristallizzatosi all’indomani della caduta del campo sovietico (1989) e per questo, col suo braccio armato Nato, hanno messo alle corde l’Europa, costringendola a recidere qualsiasi rapporto commerciale e politico con la Russia. Schierarsi quindi dalla parte dell’Ucraina oggi significa schierarsi in toto con gli Usa, e la sua volontà di perpetuare il suo ordine mondiale. L’intervento russo è figlio non della furia distruttiva di un dittatore chiamato Vladimir Putin (tesi sciagurata e riproposta dal mainstream atlantista), ma è la risposta difensiva di un Paese ben conscio che non può assistere passivamente al suo sgretolamento, in una sorta di riedizione in peius della sciagurata epoca eltsiniana, quando gli americani facevano carne di porco dell’economia e della società russi.
Bisogna quindi valutare positivamente il fatto che si stia scompaginando il vecchio ordine mondiale, per questo è augurabile che l’aggressività americana trovi nella Russia una capacità di contrasto all’altezza della situazione, ben sapendo che buona parte della popolazione mondiale non occidentale guarda con favore alla fine del monopolarismo americano, come dimostra il fatto della crescita dei Paesi intenzionati a entrare nei Brics. È solo sulla distruzione dell’ordine unipolare a stelle e strisce che potranno darsi le condizioni di rapporti equi tra le nazioni; della costruzione di un internazionalismo inteso come sano rapporto solidaristico tra le nazioni e non come uniformazione cosmopolitica alle leggi del capitale globalista. Per questo urge mettere nel conto di una politica coerentemente alternativa e popolare la fuoriuscita dalla Nato e dall’Unione Europea, strumenti dell’ordine mondiale unipolare americano.
di Antonio Catalano
da qui