Che la Russia di Putin costituisca ormai un ben strutturato ed esportabile, con i dovuti adattamenti spirituali, modello alternativo a quello esistente, proprio per l’Europa occidentale e mediterranea, non lo scopro certo io.
Sia lo stesso Putin che Lavrov, o l’economista Glazyev, lo hanno ben compreso, così come hanno ben compreso che, e mi riferisco all’Italia in particolare, molti uomini liberi questa possibilità alternativa attendevano da tempo nell’orizzonte di un mondo globalizzato.
Chi ha la certezza che il teatro delle false alternative politiche può far calpestare il palcoscenico solo a false offerte confezionate allo scopo dal direttore Mangiafuoco, non si è mai illuso sui Grillo e i Salvini del momento, né potrebbe farlo per il “nuovo” burattino atlantista meloniano, già da tempo alimentato allo scopo e ben posizionato nelle caserme della riserva.
E che la nostra Storia non meriti tutto questo, è altrettanto evidente a chi abbia imparato a conoscerla e ad amarla con tutto il proprio cuore, consapevole della superiorità che la contraddistingue: dalla Grecia, a Roma eterna, alle Spagne, ai tentativi più recenti di farne risorgere la grandezza.
Ma è della consapevolezza russa che ora voglio parlare, una consapevolezza che va conosciuta meglio, una orgogliosa consapevolezza che i più attenti hanno notato anche grazie alla recente traduzione, prima in francese, poi anche in italiano, di un importante saggio di Vadislav Surkov, per molti il Richelieu di Vladimir Putin, scritto nel febbraio del 2019 – era la stagione dei populismi dalla quale secoli sembrano ormai trascorsi – e intitolato: “La lunga regola di Putin”, nella traduzione francese: “La longue gouvernance de Poutine”.
Un po’ di Storia
Scrive Surkov: “… lo Stato russo persevera nel suo essere ed è diventato uno Stato di un tipo senza precedenti, che non abbiamo mai conosciuto prima. Formatosi a metà degli anni 2000, rimane poco studiato. Ma la sua specificità e la sua fattibilità sono evidenti. Gli stress test che ha già superato, e che sta ancora superando, mostrano che è proprio questo modello organicamente costituito l’unico mezzo efficace di sopravvivenza e di elevazione della nazione russa, non solo per i prossimi anni ma per i prossimi decenni, o meglio per tutto il secolo a venire”. Per comprendere meglio come inquadrare storicamente quanto rilevato, il consigliere di Putin precisa: “La storia della Russia ha conosciuto quattro grandi modelli statali che possono essere designati in base ai loro creatori: lo Stato di Ivan III (Granducato/Regno di Moscovia e tutte le Russie, XV-XVII secolo), lo Stato di Pietro il Grande (Impero russo, XVIII- XIX secolo), lo Stato di Lenin (Unione Sovietica, XX secolo) e Stato di Putin (Federazione Russa, XXI secolo). Creati da persone che potremmo chiamare […] “di lunga volontà”, queste grandi macchine politiche si sono succedute, riparate e adattate man mano che procedevano, assicurando nei secoli l’ostinata ascesa del mondo russo.
La grande macchina politica di Putin sta appena iniziando a prendere slancio e si prepara a un lavoro lungo, difficile e decisivo. La sua piena capacità è ancora molto lontana da una compiuta realizzazione. Inoltre, quando sarà raggiunta, tra molti anni, questo Stato sarà ancora la Russia di Putin…”.
Quanto scritto da Surkov, la dice lunga sulla consapevolezza russa e, immediatamente, ci fornisce la conferma di quello che, dolorosamente, manca in un’Italia e in un’Europa, se si escludono Germania e Francia che fanno storia a sé, rassegnate al loro profilo di eterna precarietà coloniale: nessun progetto che vada oltre l’orizzonte dei quattro/cinque anni, nessuna guida che abbia lo spessore di uno statista, ma la semplice navigazione a vista in attesa che la centrale radio Usa dia ordini per eventuali correzioni di rotta.
“La Russia si sta insinuando nei loro cervelli”
Fin dagli anni ‘90, la Russia iniziò a rifiutare “i prestiti ideologici” provenienti dal lavaggio dei cervelli che proveniva dalla presunta fine della Storia di cui scriveva Fukuyama: “Quando tutti erano entusiasti della globalizzazione e propagandavano un mondo piatto e senza confini, Mosca ci ricordava chiaramente che la sovranità e gli interessi nazionali erano importanti. A quel tempo, molti erano coloro che ci accusavano di un attaccamento “ingenuo” a queste cose vecchie, presumibilmente obsolete da molto tempo. Ci hanno insegnato che non c’è più niente da trattenere dai valori del secolo XIX, che dovevamo entrare coraggiosamente nel XXI secolo, dove non dovrebbero esserci più nazioni indipendenti o Stati sovrani. Ma, nel XXI secolo, le nostre previsioni si sono avverate. La Brexit inglese, il “Great Again” americano, le posizioni europee anti-immigrazione sono solo i primi elementi di un elenco esaustivo di onnipresenti manifestazioni di de-globalizzazione” e ancora: “Quando, ad ogni angolo di strada, Internet è stato elogiato come uno spazio inviolabile di libertà illimitata, dove pensavamo di poter fare tutto e dove eravamo tutti uguali, è stata ancora una volta la Russia ad aver osato porre una domanda che ha fatto riflettere su questa ingenua umanità: “Chi siamo su questa ragnatela: ragni o mosche? E ora tutti si precipitano a districare il Web, comprese le burocrazie più impegnate per la libertà personale, arrivando ad accusare Facebook di complicità nelle ingerenze straniere”.
Appare chiaro a chi non abbia interessi e privilegi da difendere, anche a costo di rinunciare per sempre a pensare, che questo contraltare russo al pensiero nichilista dominante in Occidente abbia già ottenuto il doppio risultato di contenere il dilagare del pensiero unico e di conservare e alimentare la speranza di un nuovo ordine più umano.
Stato oscuro e profondo
L’espressione “Deep State”, ormai di uso comune e di non più taciuta evidenza: “designa un’organizzazione del potere rigida e totalmente antidemocratica, mascherata da una bella immagine delle istituzioni democratiche presentata al mondo intero. In realtà, questo meccanismo operativo si basa sulla violenza, sulla corruzione e sulla manipolazione, e si nasconde nel profondo sotto la superficie di una società civile che (ipocritamente o ingenuamente) condanna ogni manipolazione, corruzione o violenza”; Surkov spiega con sincerità, merce introvabile a casa nostra, come stiano a questo proposito le cose dalle parti di Mosca e San Pietroburgo: “Il nostro Stato non è diviso tra uno Stato profondo e uno Stato esterno. È intero e tutte le sue componenti sono chiaramente visibili. Le costruzioni più brutali della sua struttura di forza sono sulla facciata, senza alcun artificio architettonico”; la Russia non conosce l’ipocrisia del politicamente corretto che da noi è ormai da tempo elevata a sistema e Surkov non possiede di certo la cultura del nascondersi dietro un dito: “Le forti tensioni interne dovute alla necessità di tenere sotto controllo permanente immensi spazi eterogenei, nonché la partecipazione costante del nostro Paese alla lotta geopolitica internazionale, rendono indispensabile e decisivo il potere militare e di polizia. Questo potere è sempre stato avanzato, perché né i mercanti, che considerano gli interessi militari inferiori agli interessi del commercio, né i liberali che basano la loro dottrina sul rifiuto totale di ogni militarismo, hanno mai governato la Russia (con poche eccezioni: pochi mesi nel 1917 e qualche anno negli anni ’90). Non c’era nessuno a drappeggiare la verità in illusioni, spingendola timidamente in secondo piano e nascondendo il più possibile la proprietà primaria di ogni Stato: essere strumento di attacco e di difesa”.
Stato e popolo profondo
Fondamentale seguire adesso quel che il consigliere di Putin spiega avviandosi alle conclusioni: “Non esiste uno Stato profondo in Russia, ma esiste un popolo profondo. In superficie brilla l’élite. Secolo dopo secolo, con dinamismo (va riconosciuto), l’élite coinvolge il popolo in alcune sue attività: assemblee di partito, guerre, elezioni, esperimenti economici…” e il popolo russo, pur partecipando, non perde mai il suo distacco, non smette mai di vivere la propria profondità, senza mai fondersi con quello che avviene nei territori di chi prende le decisioni e lavora per costruire il futuro. Si tratta di quella classe media, distrutta in Italia e che si vorrebbe del tutto estinta, che le élites sono costrette ad inseguire: “Il principio popolare, qualunque sia il significato della parola, domina lo Stato, ne determina la forma, limita le fantasie dei teorici e costringe gli uomini d’azione a compiti specifici. È un potente attrattore a cui conducono tutte le traiettorie politiche, senza eccezioni. In Russia, non importa con quale movimento politico inizi: conservatorismo, socialismo, liberalismo…, tutto andrà più o meno allo stesso modo. Vale a dire, da ciò che è.
La capacità di ascoltare e comprendere le persone, di vedere tutto in loro, in profondità, e di agire in modo adeguato con loro, costituisce la principale ed eccezionale virtù del governo di Putin. Questa sposa il popolo, segue la stessa strada, non affronta quindi i sovraccarichi distruttivi delle controcorrenti della storia. E, quindi, è efficace e durevole”.
Come vogliamo chiamare tutto questo? A me viene in mente Carlo Costamagna, il riconoscimento essenziale di un dato: popolo e società pre esistono, non sono soggetti astratti su cui calare altrettanto astratte architetture elaborate da pseudo architetti amanti del brutto, per altro ispirati da mercanti o banchieri anti umani. Il collegamento col sentire profondo del popolo non va mai perduto: è esattamente l’opposto di quella astratta e giacobina “volontà generale” che assolve a priori dal rapporto reale col popolo quei sedicenti “eletti”, di calvinistica memoria, avvezzi ad occuparsi di esso solo per elargire bonus o per reprimerne le pericolose avanguardie, da tenere, queste ultime, a debita distanza per ovvie ragioni. Secondo questa logica realistica e cristiana, lo Stato deve tenere conto del popolo, deve sapere cosa pensa veramente e interessarsi seriamente di esso, questa consapevolezza “russa” manca completamente dalle nostre parti, non interessa ai camerieri di turno. L’unica opzione possibile sembra essere di offrire al popolo la sola illusione della scelta, ma è proprio questa realtà che porta a guardarsi attorno e a scorgere solo la Russia, il modello è quindi esportabile, come dice più volte Surkov.
Ed ecco il rispetto nei confronti di quel “popolo profondo” senza l’azione e il sentire del quale nessuno Stato esisterebbe, non si tratta di “fede nel buon Re”: “Le persone profonde non sono affatto ingenue e non considerano la gentilezza dello Zar un valore primario. Piuttosto, sarebbero inclini a considerare un buon leader come Einstein considerava Dio, “sottile, ma non malevolo”.
Il modello contemporaneo dello Stato russo inizia con la fiducia e tiene insieme la fiducia. Questo è ciò che lo differenzia fondamentalmente dal modello occidentale, che coltiva sfiducia e critica. È qui che attinge la sua forza”.
Cercare allo stesso modo questo popolo profondo, andare a cercarlo con amore, questo il messaggio che ci arriva dalla Russia non a caso demonizzata, sta a noi tradurlo e adattarlo a quella grande, e oggi profondamente oscurata, Civiltà nei confronti della quale i Russi per primi riconoscono di essere debitori. Che la Russia si insinui nei nostri cervelli, quindi, in nome e per conto della nostra calpestata identità.
di Giuseppe Provenzale
PS: tutti i virgolettati sono tratti da: http://italiaeilmondo.com/2022/03/13/la-lunga-regola-.