di Diego Fusaro
Variando la formula di Nietzsche, Bergoglio fa davvero teologia col martello, dacché decostruisce uno dopo l’altro i cardini della tradizione, i capisaldi del pensiero teologico occidentale e il depositum fidei del cristianesimo. La sua è, au fond, una “non-teologia” o, se si preferisce, un’“anti-teologia” che, di fatto, “svuota” la teologia nel nome della presunta esigenza di “aggiornarla” e di renderla all’altezza della contemporaneità. Con l’astratto obiettivo dichiarato di una “difesa” della teologia, “papa” Bergoglio produce concretamente la sua decostruzione. E, per questa via, favorendo l’evaporazione del cristianesimo che pure vorrebbe idealmente contrastare, ottiene il medesimo risultato a cui portano le tendenze sdivinizzanti della civiltà merciforme del nichilismo, vale a dire la liquidazione di ogni teologia e, più in generale, di ogni apertura alla trascendenza, a beneficio della fede nella “certezza sensibile” e nella scienza come unica forma di fede consentita. Con il pontificato di Bergoglio, non siamo al cospetto di “vizi privati”, come fu con Alessandro VI, o di simonie e di nepotismi, come fu con Innocenzo VIII. Si tratta, invece, di un’inedita e strutturata disgregazione del cattolicesimo. Lo svuotamento del cristianesimo operato da Bergoglio con il suo pontificato sembra procedere lungo due direttrici, diverse e segretamente complementari. Per un verso, come si è sottolineato, egli tende a rendere compatibile e, di più, indistinguibile il messaggio cristiano rispetto alla forma mentis della globalizzazione liberal-nichilista. Per un altro verso, porta il messaggio cristiano a “deflagrare” dall’interno, mediante l’introduzione di una nutrita gamma di proposizioni eretiche, direttamente incompatibili con l’ortodossia cristiana e tali, dunque, da generare confusione e smarrimento in seno alla christianitas. A questo riguardo, si consideri, tra i tanti, il caso dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, pubblicata il 19 marzo del 2016. In particolare, nel capitolo ottavo, al paragrafo 301, si sostiene che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”. È, a tutti gli effetti, una proposizione inconciliabile con la dottrina cattolica e con la parola stessa di Cristo (“ciò che Iddio ha congiunto, l’uomo non separi”: Mt 19, 6). Dunque, è una dichiarazione destinata a generare smarrimento nella christianitas. Se la parola di Dio è norma normans non normata, allora il papa non può entrare in contrasto con essa, come invece accade palesemente con l’esortazione Amoris Laetitia.
È quanto, da subito, fanno notare, con i loro Dubia, quattro cardinali che chiedono chiarimenti al pontefice, memori della seconda lettera di Pietro (2, 1), ove si sostiene che è d’uopo guardarsi “dai falsi profeti e dei falsi maestri che introdurranno eresie perniciose”. La risposta del papa non giungerà mai. E ciò pare effettivamente contrastare con il contegno di un pontefice che, in più occasioni, si è dichiarato a favore del dialogo e dei ponti, in antitesi con la logica disgiuntiva del muro. In assenza della risposta ai Dubia, uno dei quattro cardinali – Carraffa – chiede, sette mesi dopo, un ulteriore chiarimento (27.4.2017): e lo fa specificando che “le interpretazioni di alcuni passaggi oggettivamente ambigui dell’Amoris Laetitia sono state date non in forma divergente, ma del tutto contraria al magistero permanente della Chiesa”. Anche in questo caso, non giungerà alcuna risposta. Nel giugno del 2017, i quattro vescovi inascoltati scelgono di rendere pubblica la questione, convinti che Amoris Laetitia, con le sue non accidentali ambiguità, rappresenti il programmatico documento di frattura interna alla Chiesa.Sempre nel 2017, nel mese di agosto, una squadra di sessantadue critici, tra cui quaranta pastori, persone del mondo ecclesiale e studiosi laici, hanno diffuso una Correctio Filialis De Haeresibus Propagatis, in cui si chiede a Bergoglio di rigettare le proposizioni apertamente eretiche di Amoris Laetitia. Anche in questo caso, non giunge alcuna risposta da parte del pontefice. Il filosofo e teologo Robert Spaemann, amico personale di Ratzinger, aveva precedentemente redatto un articolo intitolato Anche nella Chiesa c’è un limite di sopportabilità (Die Kirche ist nicht grenzenlos belastbar, in “Die Tagespost”, 17.6.2016). Apertamente afferma, in riferimento all’Amoris Laetitia, che “alcune affermazioni del Santo Padre si trovano in una chiara contraddizione con le parole di Gesù, con le parole degli apostoli e con la dottrina tradizionale della Chiesa”. Con le parole della Summa Theologiae (II-II, q. 1, a. 10), “una soltanto dev’essere la fede per tutta la Chiesa” (una fides debet esse totius Ecclesiae). Anziché garantire l’unità della fede (una fides), l’Amoris Laetitia introduce divisione e caos, relativismo e confusione; a tal punto che le Conferenze episcopali si trovano ad agire in modi diversi, ora somministrando (in Germania), ora negando (in Polonia) la comunione ai divorziati risposati. Sovvengono, a questo riguardo, le parole di Ratzinger:“questo relativismo, che oggi, quale sentimento base della persona ‘illuminata’, si spinge ampiamente fin dentro la teologia, è il problema più grande della nostra epoca”. L’Amoris Laetitia appare emblematica dell’organizzazione generale del pontificato di Bergoglio: si sgretola l’impianto escatologico, evapora la riflessione teologica sulle cose ultime, regna il silenzio sulle principali questioni fondative del cristianesimo o, quando le si affrontano, lo si fa affidandosi a dichiarazioni trasversali e ambivalenti, che generano ambiguità e che paiono coerenti con la dittatura del relativismo.
Una seconda posizione di Bergoglio difficilmente conciliabile con l’ortodossia cattolica riguarda la negazione dell’esistenza dell’inferno e dell’immortalità delle anime dei malvagi. In particolare, nei suoi dialoghi con Eugenio Scalfari, Bergoglio sostiene che la misericordia sovrasta la giustizia divina e che le anime di coloro i quali muoiano in peccato mortale si annienteranno da sé, senza andare all’inferno.L’inferno, più precisamente, non esiste: alla fine dei tempi, Dio perdonerà tutti. Il rotocalco postmodernista “The Times” elogerà con entusiasmo queste posizioni, asserendo che provano a “riconciliare le verità eterne con i costumi e la mentalità dell’età moderna” (30.3.2018). Dio – sostiene Bergoglio – “perdona sempre, perdona tutto” (maggio 2017), perché Egli – così nel libro Io credo, noi crediamo (2020) – è “difettoso, ha il difetto di non poter non perdonare”, “ha la malattia della misericordia”. Una simile concezione di Gesù era, peraltro, quella rispetto alla quale aveva messo in guardia i cattolici Ratzinger, così scrivendo: “oggi si è ampiamente affermata, anche tra i credenti, l’immagine di un Gesù che nulla esige, che mai biasima, che tutto e tutti accoglie, che in ogni cosa ci approva: esattamente il contrario della Chiesa”. Il “misericordismo” figura come il nuovo dogma della neo-chiesa post-cristiana e liberal-progressisista, fondata sull’idea di un Dio che usa sempre misericordia, che sempre accoglie e che si pone come all inclusive: insomma, un Dio che non bada ai peccati dell’uomo, ma che lo accoglie così com’è, tenendo sempre le “porte aperte” a tutto e a tutti, consumatori e atei, fedeli di altre religioni e agnostici. A questo riguardo, il teologo Antonio Livi ha, senza perifrasi, evocato l’“eresia al potere” in relazione al pontificato di Bergoglio.Dal punto di vista cristiano cattolico, è superfluo evidenziare come l’inferno esista e le anime – dei buoni come dei malvagi – non si distruggano. Gesù fa esplicito riferimento alla Geenna e al “fuoco inestinguibile” (Mt 5, 22; 13, 42; Mc 9, 43-49): “è proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi” (2 Ts 1, 6-10; riferimenti analoghi si rinvengono in Mt 25, 32-33; Ap 21, 8; 2Cor 5, 10). Tecnicamente, quella in cui incorre chi nega l’inferno e la dannazione delle anime malvagie è l’eresia dell’“apocatastasi” (ἀποκατάστασις), letteralmente del “ritorno allo stato originario” o “reintegrazione”. Secondo tale posizione eretica, che trova in Origene il proprio teorico, tutti – compreso il diavolo – alla fine dei tempi si salveranno.
A ciò si aggiunga che il 29 marzo del 2018 appare sul quotidiano “La Repubblica” un’intervista di Scalfari a Bergoglio ove si ragiona anche delle “anime cattive”: “non vengono punite – spiega Bergoglio –, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici”. Con queste riflessioni, Bergoglio nega, insieme, l’inferno, il giudizio di Dio e l’immortalità dell’anima. Vero è che la Sala Stampa Vaticana interviene per precisare che quelle dichiarazioni, rese pubbliche da Scalfari, non sono attribuibili al pontefice. Quest’ultimo, tuttavia, mai ha smentito personalmente, né è tornato su un argomento tanto importante per fugare eventuali dubbi ingenerati da parole che, stando alla Sala Stampa Vaticana, gli sarebbero state impropriamente attribuite.