di Fabio C. Maguire
Il 28 aprile del 2004 la trasmissione 60 Minutes della CBS trasmise pubblicamente sconvolgenti quanto raccapriccianti servizi e fotografie circa le torture e gli abusi dei soldati statunitensi ai danni dei prigionieri di Abu Ghraib in Iraq.
Siamo in Medio Oriente, precisamente nella Prigione Centrale di Baghdad, sita a pochi chilometri dalla capitale irachena, in un contesto storico caratterizzato da quella che verrà poi definita la seconda guerra del Golfo.
Le ostilità iniziarono il 20 marzo del 2003 quando un contingente militare multinazionale capeggiato dagli Stati Uniti d’America invase l’Iraq, il cui obbiettivo prioritario era la deposizione di Saddam Hussein e l’instaurazione di una coalizione governativa filo-occidentale.
Nell’evoluzione degli scontri armati furono decine e decine i combattenti iracheni che vennero tratti in arresto e deportati presso il campo di prigionia di Abu Ghraib.
Molti degli internati incontrarono la morte tra urla strazianti e atroci sofferenze, in luogo che diverrà ben presto teatro delle peggiori crudeltà commesse dall’uomo nel corso della storia contemporanea.
I prigionieri furono massacrati, violentati, torturati e seviziati.
E ancora abusati fisicamente e sessualmente, sodomizzati, stuprati e assassinati.
I detenuti furono sottoposti a trattamenti disumani, a percosse, waterboarding, aggressioni con cani, a torture con con attacchi sonori e privazioni del sonno e del cibo nonché martoriati con l’elettricità ed esposti ad ulteriori agghiaccianti violenze fisiche e psicologiche.
I ragazzi che ebbero la “fortuna” di salvarsi furono gravemente mutilati prima di essere rimessi in libertà.
Il complesso penitenziario era gestito all’epoca dei fatti da personale dell’Esercito degli Stati Uniti, al quale furono affiancati uomini della CIA.
L’amministrazione Bush, dopo la pubblicazione delle orrende e terrificante immagini, le quali ritraevano i ghigni e le risa dei sadici in divisa a stelle strisce in posa sulle loro vittime, tentò di liquidare la faccenda come un caso isolato, estraneo alla politica generale degli USA.
Addirittura molti media conservatori americani difesero a spada tratta i soldati incriminati.
L’ipocrisia dell’inquilino della Casa Bianca fu contradetta però da organizzazioni umanitarie come Croce Rossa, Amnesty International e Human Rights Watch.
Infatti, dopo un’attenta e coraggiosa attività investigativa, si è reso noto come le violenze e gli abusi commessi dai Marines a Baghdad non furono un caso isolato bensì erano parte di un vasto orripilante piano di torture e trattamenti brutalizzanti presso centri di detenzione americani all’estero, compresi quelli in Iraq, Afghanistan e Guantanamo.
Si accertò che molte delle autorizzazioni a procedere furono concesse dalle alte gerarchie militari statunitensi nonché dall’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld.
Il clamore mediatico fu enorme perciò diversi militari americani responsabili delle brutalità commesse in Iraq vennero processati.
Nonostante il valido e cospicuo materiale probatorio a disposizione delle autorità inquirenti, solamente undici soldati vennero condannati, a seguito di un processo farsa, a pene detentive molto tenui e rilasciati presto in libertà.
I nomi di questi criminali è giusto ricordarli: Geoffrey D. Miller; Ricardo Sanchez; Lynndie England; Sabrina Harman; Charles Graner; Ivan Frederick; Megan Ambuhl.
La Casa Bianca e il Pentagono non furono mai inquisiti per i fatti di Abu Ghraib nonostante vi fossero documenti e prove sufficienti per comprovare il coinvolgimento delle istituzioni governative americane in questi crimini di guerra.
Le atrocità di Abu Ghraib rappresentano una delle pagine più buie della storia contemporanea.
Questo è il risultato delle missioni democratiche di pace statunitensi: torturare, massacrare e ammazzare tutti i ribelli.
“Questi fatti sono l’emblema degli approcci selettivi e dei doppi standard adottati dagli Stati Uniti in materia di diritti umani. Si tratta di una pratica sistematica, come dimostra il trattamento disumano dei detenuti a Guantanamo, che rimane tutt’ora operativo, nonostante i molteplici appelli della comunità internazionale a chiuderlo.”
Non possiamo dimenticare le sofferenze di questi ragazzi, guerriglieri anti-imperialisti, e dobbiamo perseguire con costanza e dedizione nella nostra lotta affinché il loro sacrificio non sia vano.
Noi non dimentichiamo i figli caduti per la libertà!