Alte concentrazioni di molecole di colesterolo, possono portare ad infiammazioni ed occlusioni delle vie venose ed arteriose con conseguenze gravi. Il colesterolo geopolitico è l’innalzamento dei livelli di attrito e conflitto della transizione multipolare in cui il sistema circolatorio sono le vie del commercio mondiale.
Bab al-Mandab è uno stretto, già di suo con un nome infausto (Porta del lamento funebre), che collega il Golfo di Aden e prima l’Oceano Indiano ed il Mar Arabico col Mar Rosso-Suez. Vi passa tra il 12 ed il 14% del commercio mondiale (quasi tutto quello euro-asiatico), tant’è che nel paesotto affacciato sullo stretto, Gibuti, hanno basi navali militari Stati Uniti, Francia, Italia, Arabia Saudita e sia il Giappone che la Cina, queste ultime due, uniche basi extraterritoriali per i due asiatici. I russi se ne stanno costruendo una poco più a nord sulla costa sudanese.
Giusto di fronte c’è lo Yemen e nello Yemen del nord, ci sono gli Houthi, sciiti, i quali pare stiano da un po’ di tempo lanciando razzi e droni armati contro alcune navi mercantili di passaggio. Una, norvegese, giusto ieri. La ragione è che ritengono di colpire merci ed affari israeliani in solidarietà con i palestinesi di Gaza, ma anche per mandare un messaggio preventivo affinché non si pensi di allargare il conflitto in corso, allargamento che punterebbe poi a nord, tra Libano e Siria, terra di Hezbollah con cui sono stretti alleati.
I grandi del trasporto container ovvero la danese Maersk e la tedesca Hapag Lloyd, l’italo-svizzera Msc e la francese Cma Cgm più OOCL con sede a Hong Kong, hanno dichiarato di aver sospeso i transiti, useranno il Capo di Buona Speranza, 40% di tempo in più. L’intraversamento di una nave nel Canale di Suez nel 2021, per una settimana, portò al blocco e relativo colpo infartuale al commercio mondiale. Il transito vale anche per le navi gasiere e petrolifere del Persico. Qui si rischia un infarto di ben più di una settimana.
Così gli americani stanno muovendo portaerei a difesa della rotta, almeno questo l’intento dichiarato. I tedeschi e norvegesi stanno valutando se mandare navi, gli italiani hanno subito risposto “pronti!”, i russi hanno fatto entrare un sottomarino nel Mediterraneo. Ma gli americani pare stiano concertando una vera e propria operazione mista “Operazione Prosperity Guardian”.
Sebbene gli Houthi siano vicini all’Iran, alcuni analisti segnalano che non si coordinano necessariamente con Teheran per le proprie azioni, hanno anche una loro agenda, tra cui aver brandito il vessillo di difensori della causa palestinese, tanto cara alle opinioni pubbliche arabe, quanto ignorata nei fatti dai rispettivi governi.
La questione è assai complicata. La zona è sicuramente centrale e negli interessi di molti. Immagino che le compagnie di assicurazioni abbiamo non poco alzato i prezzi delle polizze di copertura rischio; quindi, fino a che la situazione non si sarà appianata del tutto, alle compagnie conviene fare il giro largo e scaricare il prezzo sugli utenti di trading, che poi a loro volta li scaricheranno su di noi. Ieri il prezzo del gas ha già avuto un suo sussulto. Una nuova infiammata inflattiva ne conseguirà certamente.
Di contro, attaccare gli Houthi potrebbe questo sì incendiare l’area, stante che faticosamente Arabia Saudita e Houthi hanno sospeso il loro annoso conflitto e sono attivamente in cerca di un accordo e l’AS sta normalizzando le relazioni diplomatiche con Teheran oltre a convivere nei nuovi BRICS10. Questo spiega la ritrosia degli arabi ad aderire alla coalizione americana a cui ha aderito, per il momento, il solo Bahrein. C’è anche un problema di comando ovvero entro quale struttura operativa inquadrare l’intervento. Gli arabi preferirebbero tramite il loro Consiglio di cooperazione del Golfo, gli europei sotto l’egida UE, gli americani si seccano di queste paturnie e vorrebbero solo mettere aderenti più o meno formali sotto il loro intervento per non passare per i soliti incendiari da Far West.
Di contro al contro, un eventuale conflitto armato in zona, non farebbe che confermare la necessità della nuova Via del Cotone con cui Washington ha cercato di spiazzare sia la Via della Seta cinese, sia le nuove alleanze BRICS. Una via operativa che sbarca in EAU e via ferrovia arriva sul Mediterraneo in Israele evitando lo stretto, il Mar Rosso e Suez sarebbe la migliore alternativa. E questo piano è senz’altro il sottostante causale per la gran parte (non l’unico ma lo scatenante, probabilmente) del massacro iniziato il 7 ottobre.
Quella via non si potrà mai fare con i palestinesi di Gaza pronti a sabotarla, non meno che Hezbollah a nord, motivo per cui l’annuncio di Netanyahu all’ONU nel discorso di fine settembre, pochi giorni prima il massacro. In quella sede non solo Netanyahu mostrava una cartina con Israele unificata con Gaza e Cisgiordania, ma prometteva anche di avere idee precise su come ridisegnare una volta per tutte il Medio Oriente. Motivo per cui la reazione di Tel Aviv, come subito qui segnalato, ha presto superato la semplice e comprensibile ritorsione anti-Hamas, arrivando agli attuali 20.000 morti a Gaza e senza che alcuno, nel mondo, veda termine all’impeto armato distruttivo, nonché dica qualcosa sui ripetuti annunci israeliani che la guerra sarà ancora molto lunga. Se è una guerra per sistemare una volta per tutte Hamas, palestinesi, Hezbollah e Houthi per spianare la strada alla nuova via del Cotone, certo che sarà lunga, sanguinosa e potenzialmente pericolosissima.
Insomma, un bel conflitto lungo a media intensità alla Porta del lamento funebre, avrebbe le sue ragioni ma anche parecchie controindicazioni.
Come per la guerra in Ucraina, a nessuno viene in mente di pensare che questo conflitto non doveva accadere. Erano almeno sette anni che covava tra ucraini e russi, era decenni che continuava tra israeliani e palestinesi, ma nessuno se ne curava. Sul piano personale a nessuno cagionevole di salute viene in mente di andar a ballare nudo sotto la neve, ma sul piano degli equilibri geopolitici c’è la più totale ignoranza. Le cose “accadono” e subito tutti si sentono pronti a dirci la loro su chi sono i buoni e chi i cattivi e come questi vanno puniti. C’è la settimana o il mese per l’indignazione furente per cui i più sbraitano di zar impazziti ed antisemitismo, nazismi 2.0 e shoah reloaded ed altre irresistibili lacerazioni morali. Poi tutto rifluisce, arrivano i pandori della Ferragni ed altri generi di intrattenimento. Così, va il nostro mondo. La società dell’informazione, dei dati, della libertà di pensiero e parola tutto intorno grandi ignoranze, distrazioni, titillamenti emozionali.
L’importante è che il mondo vada dove lo si vuol portare e l’immagine di mondo e l’attenzione sia polarizzata su tutt’altro. Siamo all’a-b-c del prestigiatore, dal trucco del gioco delle tre carte in su. In mezzo, la platea felice dei liberi ignoranti.
Da L’Antidiplomatico, di Pierluigi Fagan.