di Fabio C. Maguire
Cina e Brasile hanno raggiunto un importante accordo lo scorso mercoledì, firmando una ventina di piani che definiscono nuove collaborazioni circa l’agroalimentare, la scienza e la tecnologia, l’istruzione e la cultura.
L’Agenzia brasiliana ha informato che per l’incremento dell’esportazioni obbiettivo prioritario è quello di ridurre i costi e di “promuovere il commercio bilaterale, facilitando al contempo gli investimenti.”
Questi ultimi incontri sono però la coda di un rapporto decennale tra Brasilia e Pechino: dal 2007 circa il 48% degli investimenti cinesi in America Latina sono stati destinati proprio al Brasile, con oltre 150 miliardi di scambi bilaterali del 2022.
L’intento attuale sarebbe quello di rafforzare questa partnership economica attraverso la possibilità di utilizzare valute nazionali, liquidando il dollaro, per gli scambi e le transazioni commerciali nonché la partecipazione delle banche brasiliane al mercato finanziario cinese, in particolare la Banca Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale sarebbe al centro di questo progetto consentendogli di accedere ai “crediti sottoposti al controllo di Pechino, per finanziare opere infrastrutturali ed energetiche.”
Gli istituti brasiliani dovrebbero entrare prossimamente nel CIPS, ovvero “il circuito di compensazione bancaria cinese” alternativo allo SWIFT americano.
Come osservato nell’intese bilaterali tra Ryad e Teheran, anche nei qui presenti accordi tra Brasile e Cina si sta cercando di attuare una “de-dollarizazzione del mercato mondiale”: capeggiata da Pechino, questa strategia colpirebbe direttamente uno dei principali strumenti con il quale gli States hanno tenuto salda la loro egemonia negli ultimi decenni, il dollaro.
La BRICS allarga quotidianamente la sua sfera d’influenza e il suo raggio d’azione, coinvolgendo plurime realtà e presentandosi come un’alternativa sempre più valida e conveniente al ordine a guida USA.