Per il pensiero critico, il populismo russo ha compiuto una grande impresa teoretica ha avuto un esito decisivo, ha comportato una rottura epistemologica nella ricerca di Marx, il Marx maturo, quello della “Critica al programma di Gotha”;
e questo con ragione, perché i narodniki, al contrario dei socialdemocratici, rifuggono dalle utopie donchisciottesche, quelle che puntano ad una società socialista tramite la costruzione dell’uomo del futuro, homo novus;
nei populisti russi pulsa una sorta di “immediatismo”: le condizioni materiali di produzione e i rapporti umani corrispondenti ad una società senza classi, più equa, esistono di già – anche se spesso in forma latente – nelle sterminate campagne russe: si tratta del modo di produzione asiatico, del comunismo primitivo dei contadini organizzati attorno al Mir, l’istituzione di democrazia diretta la cui invenzione collettiva affonda nella notte dei tempi, in epoche arcaiche.
L’incontro con i narodniki comporterà la svolta anti-socialdemocratica di Marx; e il successivo suo ripudio dello sviluppo storico concepito in termini deterministici e lineari – così come teorizzato nel primo libro del Capitale – sviluppo che dal feudalesimo portava al capitalismo e da lì, finalmente, al socialismo.