Guido De Simone
Questa è la risposta che ho dato ad un amico che mi scriveva, un po’ disperato: «Guido .. il mondo vuole solo calci in culo…»
Gli ho risposto prima di tutto da psicosociologo e studioso di antropologia culturale, con ovvi riferimenti agli aspetti geopolitici e politici dove si annida la causa di quanto sta avvenendo.
I RIBELLI, FRUSTRATI, ACCUSANO CHI NON REAGISCE. E SBAGLIANO
Prendersela con chi sembra paradossalmente impermeabile ai propri accorati allarmi è un meccanismo di autodifesa. È un modo per rendere più sopportabile la frustrazione di non essere ascoltati o capiti. È una reazione umana e comprensibile, ma è un pessimo errore.
Un caro amico di Milano, molto attivo nel cercare di aiutare le persone a capire in quale guaio siamo, mi ha mandato un messaggio che esprime il suo sconforto di fronte all’apparente inedia dei suoi concittadini.
Riporto le sue parole:
« Guido… il mondo vuole solo calci in culo… ».
La mia risposta
Il problema è che da molto tempo, decenni, le persone sono state abituate a prendere prima piccoli buffetti sul sederino, poi calcetti, poi calci veri e propri, sempre più forti, fino a quelli attuali, per lo più vere e proprie inculate e pure dolorose, dolorosissime.
Ciò non significa che amino tutto ciò, ma solo che non vedono da decenni alternative.
In sostanza, sono senza SPERANZA.
E se ti levano la speranza, proverbialmente “l’ultima a morire”, sopravvivi, ma non vivi.
La terapia per uscire da tale TRAPPOLA è la stessa che verrebbe utilizzata per un depresso, che infatti preferisce paradossalmente rimanere nella sua depressione piuttosto che affrontare un mondo diverso ma “probabilmente” peggiore…
“Peggiore” proprio perché è il depresso, nel suo stato mentale negativo, a temere il peggio… Ora si immagini quanto più un depresso tenderebbe a chiudersi, quasi a rifugiarsi, nella sua depressione se perfino il medico gli raccontasse che fuori dalla sua depressione il mondo è molto peggiore!
Alla luce di ciò, va tenuta presente la propaganda che impera nel mondo – e in particolare nel cosiddetto “Occidente” – da ormai oltre 50 anni: che il mondo è in “pericolo” e che la situazione potrebbe essere peggiore… Ma che il governo è lì, imperituro e inamovibile, per “difenderci”, ovviamente!
Una strategia comunicativa iniziata negli anni ’70, con due tattiche:
1) o ingigantendo un pericolo marginale,
2) o inventando di sana pianta minaccie spaventose.
E tale propaganda è sempre a cura o sotto la regia (spesso coordinando gli esperti assoldati allo scopo) di chi così il potere o lo conquista, o lo tiene e mantiene nel suo attuale status, terrorizzando la gente con un mondo pieno di “EMERGENZE”:
«Se non facciamo tutti così, il clima ci si rivolta contro! I virus ci distruggeranno! L’inflazione ci mangerà tutto! La “democrazia”, in base alla quale voi ci avete “liberamente” scelti, sarà solo un ricordo! I terroristi ci sconvolgeranno l’esistenza! La Russia ci travolgerà! Il cibo non basterà per tutti! Ecc., ecc., ecc.!».
Lo ripeto: alcune minacce sono solo ingigantite a dismisura in maniera decisamente irrealistica, altre sono letteralmente inventate o montate ad arte.
Ma l’effetto è lo stesso: pur di essere salve le persone si adeguano al calcio in culo e poi pure all’inculata dolorosa: è “LA STRATEGIA DEL MALE MINORE”.
E, com’è visibile, funziona.
E su questo mi sembra opportuno insistere nel ribadire ciò che cerco di spiegare a tutta la Società Civile italiana da oltre due anni:
Non è con un “Fronte del DISSENSO” che si convince la maggioranza della popolazione che, avendo subito finora, non ama e rifiuta ulteriore conflittualità. Non è la PROTESTA ciò che li convincerà.
Pertanto, ho semplicemente suggerito che si adottassero dei termini più COSTRUTTIVI, per esempio definendosi come il “Fronte del CAMBIAMENTO”, che già qualcosa di accettabile annuncia, per quanto da dimostrare spiegando QUALE cambiamento si propone.
Perché comunque è almeno una PROPOSTA e non solo una protesta, letta o facilmente accusata di pericoloso disfattismo da parte di chi vuole mantenere lo status quo.
Comunque, torniamo al problema di fondo, la depressione individuale e, come vedremo tra poco, sociale.
A tutto c’è rimedio
Se ne può uscire, come dalla depressione del singolo individuo.
In effetti, dopotutto, il “corpo sociale” o “comunità” è un insieme vivente formato dalle proprie “cellule”, cioè dai singoli individui che lo compongono.
Perciò, né più né meno come per il singolo individuo, una situazione di “depressione sociale” va semplicemente curata.
Basta che la terapia sia ben impostata e non tralasci fattori determinanti.
La depressione – è bene tenerlo presente – non è un semplice disturbo psicologico. Si tratta di una vera e propria malattia perché agisce sul piano fisiologico.
L’origine psicologica si potrebbe definire una “tempesta perfetta”, tanti, tantissimi, troppi, collegamenti neuronali scatenatisi per via dei troppi problemi affrontati e la sensazione di non riuscire a contenerli, di esserne travolti.
Per spiegare tale fenomeno con un esempio più noto, basta tenere presente la reazione di fronte ad una situazione sconvolgente e spaventante: lo svenimento, che altro non è (mi perdonino i puristi del linguaggio scientifico, ma farsi capire dai più è un’arte che spesso sottovalutano) che un rimedio difensivo del cervello ad uno stato di sofferenza PSICOLOGICA. E lo stesso si potrebbe dire dello stato di coma, come strategia del nostro cervello per rimediare ad uno stato di sofferenza FISICA.
Quindi, di fronte ad una “tempesta perfetta” di problemi che ci investe alcune persone riescono a resistere e superare la dura prova, altre purtroppo crollano.
Fino al punto di causare una specifica reazione FISIOLOGICA negativa nel cervello, diminuendo pesantemente la produzione di alcuni preziosi neurotrasmettitori grazie ai quali ci vengono garantiti il buon umore, la capacità di attenzione, il contenimento dell’ansia.
Sto riferendomi alle monoamine serotonina (o 5-HT), noradrenalina (o NA) e dopamina (o DA).
Pertanto, per curare una depressione conclamata raramente basta solo una terapia psicologica.
È come se a chi si è rotta una gamba si dicesse: «E dai, mettiti in piedi e fai uno sforzo! Vedrai che ti passa tutto!». Metodo che suona più che altro da idioti irresponsabili.
In quasi tutti i casi, il vero depresso (e dico “vero” perché molti sono i casi di chi è solo sulla via verso la depressione e può ancora reagire da sé o con un adeguato sostegno da parte di persone care all’altezza della situazione o di un terapeuta) va curato in fasi concordate da uno psichiatra (che è anche un medico e perciò darà alla persona depressa dei medicinali, nel dosaggio richiesto dal caso specifico, che stimolano il ritorno alla produzione normale dei neurotrasmettitori suddetti) e da uno psicologo (psicoterapeuta) di supporto.
Il rimedio a una depressione sociale
Come dicevo, in un certo qual modo se ne esce come con i singoli individui depressi, con una cura doppia e ben concertata: REALTÀ e SPERANZA.
È purtroppo essenziale far vedere la VERITÀ per quanto cruda e motivo di sofferenza essa sia.
Ma, contemporaneamente, se non come primo approccio, mettere a disposizione una VIA D’USCITA, SICURA E DI GRAN LUNGA MIGLIORE dell’attuale situazione.
Quasi nessuno avrà dubbi su quale strada prendere.
Ma, non ci si aspetti che non ci siano coloro che continuano testardamente ad AGGRAPPARSI alla “realtà” che è stata loro venduta da lungo tempo, ad alcuni dalla nascita (perciò, non hanno nemmeno esempi precedenti di un mondo alternativo…. E notate bene che lo studio della Storia, per niente a caso, è molto manipolato per presentare il passato solo nella sua veste peggiore: ergo, il presente è il migliore possibile).
Il termine “aggrapparsi” è decisamente appropriato perché è come il vigile del fuoco che urla dal basso alla persona alla finestra: «Dai, buttati! Il cuscino gonfio è sicuro! Non ti farai nulla!». Cosa che purtroppo non riesce in alcuni casi, con coloro che hanno più paura di ciò che devono affrontare di fronte che di ciò che li minaccia da dietro.
Perciò, un po’ di buonsenso, per cortesia.
Le persone vanno aiutate, non accusate di essere degli stupidi che si meritano di fare una brutta fine perché non reagiscono ai nostri solleciti… reazione, la nostra, tipica di chi è frustrato dal proprio fallimento in quel caso.
Non è colpa loro, semmai siamo noi che dobbiamo cercare un’altra via, usando la nostra intelligenza e, sopratutto, la nostra umanità.
Ed infatti, è quello che fa un buon vigile del fuoco, che, piuttosto che rinunciare, se può, raggiunge la persona in pericolo e l’accompagna nel volo verso il cuscino.
Se è una Umanità migliore ciò a cui aspiriamo, cominciamo dal comportarci umanamente con tutti, nessuno escluso.