Silenzio sulle stragi di bambini e civili fatte con le armi dell’Occidente e menzogne sullo svolgimento delle votazioni!
Nell’Occidente liberal, in cui governa il partito unico del globalismo, già partito unico del Covid, rilanciando, come avviene costantemente da febbraio, la propaganda ucraina si sostiene che i quattro referendum tenutisi nel Donbass siano una farsa; certo, si è trattato di votazioni avvenute nel “bel” mezzo di una guerra, con il pericolo concreto che i seggi saltassero in aria sotto i bombardamenti ucraini, pagati a caro prezzo dai cittadini del mondo democratico, ma in pochi pare si siano presi la briga di andare a guardare i quesiti proposti o di ascoltare qualcuno degli osservatori internazionali, tra loro tredici italiani, che hanno assistito, rischiando la propria incolumità, allo svolgimento delle operazioni.
I QUESITI PROPOSTI
Agli abitanti delle due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk si chiedeva di dire sì ad una loro integrazione nella Federazione russa. Come è noto, si era già tenuto un referendum (nel 2014) e, nello stesso anno, era stata proclamata l’indipendenza dall’Ucraina.
A dicembre del 2021, infine – dopo otto anni in cui, nonostante le incessanti richieste di intervento della maggioranza russofona, Putin non aveva ritenuto opportuno mettere a rischio gli equilibri internazionali, sperando in una soluzione diplomatica che l’Occidente atlantista non aveva alcun interesse a rendere possibile – con la firma un accordo di mutua assistenza, erano stati i governi delle due repubbliche a chiedere l’attuazione di quell’intervento militare che invocavano da tempo.
A Zaporizhzhia e Kherson, invece, i quesiti chiedevano di pronunciarsi sia sulla secessione dall’Ucraina di Zelensky che sull’adesione alla Federazione russa. Come è stato scritto dalla stampa, sempre in chiave denigratoria, in tutte e quattro le realtà, la percentuale di sì non è stata inferiore all’87%, registratosi nell’oblast di Kherson, con la punta del 99, 23 avutosi nella repubblica popolare di Donetsk.
Adesso, le quattro regioni, unitamente alla Crimea, diventeranno Russia a tutti gli effetti e si prevede che Putin dia l’annuncio già venerdì 30 settembre alla Duma, con la successiva ratifica alla Camera Alta già fissata per il 4 ottobre prossimo.
GLI OSSERVATORI INTERNAZIONALI
Molta ironia è stata rovesciata dal mainstream sugli oltre cento osservatori internazionali arrivati nelle quattro regioni interessate dai referendum, la vulgata occidentale su una Russia cattiva e dittatoriale e una Ucraina buona e democratica non ha certo risparmiato chi si prestava non a certificare la regolarità dell’esito referendario, è bene precisarlo, ma, a seguire lo svolgimento, secondo i canoni universalmente riconosciuti, delle operazioni di voto.
“Per due giorni abbiamo seguito le operazioni di voto spostandoci tra la Crimea, dove hanno votato i profughi russi, e Zaporizhzhia, due territori divisi da posti di blocco ai quali i russi controllano i passaporti” , ha detto all’Adnkronos la giornalista italiana Graziarosa Villani, una dei tredici connazionali facenti parte del gruppo di osservatori, che ha riferito di un voto certamente “anomalo” (venti persone hanno perso la vita nell’organizzazione delle operazioni di voto sotto le bombe “pacifiche” omaggiate dal mondo libero) ma, ha aggiunto: “Non ho visto nessuno votare sotto la minaccia delle armi “, precisando, inoltre, di non aver ricevuto alcun compenso e di aver avuto l’invito dal Center for International Interaction and Cooperation, con sede a Mosca, tramite un documento firmato dalla direttrice Maria Prokofieva e datato 20 settembre.
CONCLUSIONI
Visti i titoli del mainstream – che dipingevano un voto sotto la minaccia dei fucili russi che avrebbero costretto la popolazione a recarsi alle urne – le dichiarazioni di chi di questi fucili non ha visto nemmeno l’ombra hanno avuto pochissima eco, così come quasi nessuno, tranne i reporter indipendenti da tempo presenti nei teatri di guerra, ha parlato dei bombardamenti ai seggi e nelle scuole (la strage mirata di bambini e adolescenti russi non è un crimine di guerra?) sempre resi possibili, prima, durante e dopo le elezioni, dalle armi occidentali che servono ad alimentare quella che chiamano ‘resistenza ucraina’, ricordo che solo l’Italia ha previsto a tale scopo una spesa complessiva di 600 milioni di euro.
Non delle armi dei russi ha paura la popolazione di quelle regioni, ma dei nuovi missili Usa che uccidono i propri figli a scuola; non è per proteggersi dagli AK della polizia del Donbass che in alcuni quartieri gli scrutatori indossano giubbotti antiproiettile. Solo nelle due ultime settimane, e solo nelle due repubbliche, sono stati una cinquantina, la maggior parte ben lontani da obiettivi militari, i civili uccisi dall’artiglieria ucraina.
La disinformazione “autorevole” tace sulle stragi compiute con i soldi di Europa, Usa, Canada o Australia, ma, i suoi scrivani, al sicuro nelle proprie confortevoli redazioni, fanno da megafono alla propaganda dell’amico ucraino sia della Meloni, a cui la presidente in pectore dedica affettuosi tweet, che di Letta.
Per quel che ci riguarda, nel Donbass, a Kherson, a Zaporizhzhia, così come già in Crimea, la voglia di pace, libertà di mantenere e tramandare la propria identità e di sicurezza, espressa da popolazioni martoriate, è stata rispettata e ha vinto, anche grazie alle “armi” del referendum.
Il resto lo affidiamo alle foto (scattate e pubblicate dall’ottimo Rangeloni sul suo canale Telegram) dei cantieri, era il mese di luglio, e degli edifici già ricostruiti a settembre di una Mariupol liberata, che testimoniano la forza di volontà e di reazione di chi, finalmente, si sente a casa propria, niente affatto annesso o conquistato.
di Giuseppe Provenzale