Giuliano Castellino
Donald Trump è un Uomo di Popolo, un patriota autentico, un nemico del globalismo.
Potremmo tranquillamente definirlo – in ottica multipolare – un sovranista popolare americano.
Con tutte le specificità e peculiarità oltre oceano.
Per questo Trump è riuscito a riunire tutto il popolo americano in lotta contro le élite globaliste e finanziarie.
Un fronte plurale ed ampio.
Non solo da Viganò a chi sventola bandiere nazional-socialiste, ma persino il Partito Comunista Americano ha sostenuto e votato per Trump.
Un fenomeno non isolato, né legato a queste ultime elezioni.
Negli ultimi anni, una corrente politica espressamente comunista ha guadagnato terreno: il “MAGA Communism”, ovvero una fusione tra il comunismo e il movimento di Donald Trump.
Nato inizialmente sui social ha trovato portavoce in giovani come Haz Al-Din e Jackson Hinkle, entrambi sotto i trent’anni.
Questa corrente sostiene che Trump sia l’unica scelta possibile per i socialisti desiderosi di sottrarre il potere alle “élite globali” e riportare al centro del dibattito la lotta di classe.
Il movimento “Make America Great Again” (MAGA) cerca di conciliare il trumpismo e l’ammirazione per Vladimir Putin con il sostegno alla resistenza palestinese e al regime nordcoreano.
Sia Al-Din che Hinkle stanno catturando le simpatie di una gioventù insoddisfatta della politica tradizionale.
Al-Din, considerato il teorico del movimento, ritiene che Trump abbia trasformato profondamente la politica statunitense, offrendo una via di fuga dal bipolarismo tradizionale tra Democratici e Repubblicani, entrambi legati allo status quo.
Secondo Al-Din, Trump ha creato un movimento di massa che si oppone alle vessazioni imposte da una cabala liberal-democratica sulla gente comune, rendendo possibile un’alleanza tra elettori precedentemente distanti.
Pur riconoscendo l’anticomunismo di Trump, Al-Din sostiene che ciò sia di secondaria importanza rispetto alla capacità del MAGA di attrarre il voto della classe lavoratrice e di coloro che avevano perso fiducia nella politica tradizionale, mettendo in discussione i dogmi del “politicamente corretto” e della globalizzazione.
Al-Din e Hinkle spiegano che il “MAGA Communism” non dovrebbe essere visto come un’ideologia coerente, ma come un contenitore aperto a diverse identità politiche unite nella comune lotta contro le élite.
I comunisti, secondo loro, devono scegliere se rimanere in spazi ideologicamente puri ma irrilevanti, soggiogati dal “wokismo”, oppure confrontarsi con le contraddizioni reali dell’America contemporanea.
Possono, come fa la sinistra tradizionale, demonizzare i sostenitori di Trump accusandoli di razzismo, oppure unirsi all’unico movimento di massa anti-establishment esistente.
Questo movimento, inizialmente deriso e poi criminalizzato (come successo in Italia ai nostri movimenti sovranisti poplari… lo schema è sempre lo stesso!), ha recentemente assunto una forma più concreta.
A luglio scorso è stato fondato l’American Communist Party, e anche prima di allora aveva ottenuto riconoscimenti in spazi sempre più rilevanti della politica americana.
Hinkle è stato invitato a parlare positivamente di Putin nello show di Tucker Carlson e ha ricevuto elogi dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Michael Flynn.
Al-Din ha guadagnato la stima del filosofo ultranazionalista russo Alexander Dugin, che ha incontrato a Mosca.
Immediatamente i comunisti americani sono stati etichettati come “rossobruni”.
Come tutti quelli che, dopo la Caduta del Muro di Berlino, hanno provato a fare sintesi, capendo che il capitalismo dilagante e mondialista andava combattuto con nuove forze popolari.
Il “rossobrunismo” è stato a lungo criticato sia da chi lo disprezzava sia da chi non voleva essere etichettato in tal modo.
Fino a quando, più o meno in coincidenza con la falsa pandemia e la tirannia tecno-sanitaria, è diventato qualcosa di tangibile e concreto.
Proprio in quel periodo moltissimi attivisti provenienti da esperienze diverse si sono ritrovati dietro la stessa barricata.
Ora la vecchia politica, il regime globalista e i loro servi continuano a scandalizzarsi di queste posizioni e alleanze, non capendo che oggi sono patrie e popoli a mettere in discussione, non solo i vecchi schemi, ma tutto il sistema di potere.
Compresi media e Tv… oggi la prima linea dell’esercito globalista.