L'Italia Mensile

Massacro di Jabalia tra violenza e frustrazione

di Ramona Castellino

Salgono a 30 persone il numero dei palestinesi uccisi e a 90 quello dei feriti, nel massacro di Jabalia, tra cui donne e bambini.
Gli israeliani hanno effettuato una serie di attacchi sull’ennesimo campo profughi, prendendo di mira delle scuole adibite a rifugio.
Hamas accusa l’esercito israeliano di aver commesso un vero e proprio massacro, una ritorsione per punire la popolazione per la loro resistenza e il loro rifiuto di sfollamento. Una deliberata carneficina, uno sfogo di violenza.
“Una ritorsione contro civili disarmati sotto copertura statunitense…

Questi massacri sono una continuazione del genocidio criminale in corso contro il nostro popolo, protetto dal sostegno americano”.

Ormai a Gaza è un’escalation di violenza, ma anche di frustrazione, perchè nonostante l’inferno in terra, i figli di Palestina hanno ancora il coraggio di non obbedire ed essere di fatto uomini e donne liberi, vero volto della Resistenza.
Anche di fronte alla spaventosa crisi alimentare che si sta abbattendo su Gaza.
Il World Food Programme, agenzia Onu per la sicurezza alimentare, denuncia di non essere al corrente di quante siano le scorte alimentari rimanenti nel nord di Gaza, in quanto a causa dell’escalation di violenza, nessun aiuto umanitario è riuscito ad arrivare nel nord della striscia.

Intanto in Libano, il lungomare di Beirut è divenuto un immenso campo profughi, dove vi hanno trovato rifugio 1 milione e 200 mila sfollati provenienti dal sud.

Ma oltre al massacro di Jabalia, che ha dimostrato per l’ennesima volta, se ancora ce ne fosse stato bisogno, fino a dove può spingersi la prepotenza e il disprezzo totale delle vite dei palestinesi e dei popoli occupati, da parte di Israele, a tenere banco sono ancora gli attacchi alle basi Unifil, colpite per la seconda volta in due giorni.
Tel Aviv assicura che aprirà un’indagine su quanto accaduto esprimendo “profonda preoccupazione” per quelli che ha definito “incidenti nella lotta senza quartiere contro le milizie libanesi alleate di Theran”. E con questo chiude la pratica, perchè tutti gli atti, anche i più ignobili, devono rientrare nel “diritto di difendersi” di Israele.

A tal proposito ricordiamo che non è la prima volta che Israele colpisce le basi Unifil nella sua storia di violenza e colonizzazione.

Interessanti le parole rilasciate da Andrea Tenenti, funzionario italiano delle Nazioni Unite e portavoce Unifil, che ha schierato in Libano 10.400 soldati, di cui 1200 italiani.
Oltre a rimarcare l’importanza della presenza dei caschi blu in Libano, a sostegno della popolazione civile rimasta senza beni di prima necessità, sottolinea come le scusanti di Israele, che parla di incidenti causati dalla lotta contro gli Hezbollah, non reggano minimamente.

Secondo il funzionario, Israele può colpire gli Hezbollah senza toccare le basi Unifil, ma non può farlo senza il coinvolgimento della popolazione civile e che quello che Israele vuole fare è più complicato da farsi con dei testimoni.

A fronte di tutto ciò ci continuiamo ad interrogare sulla presenza di Israele all’interno dell’ Onu, sul diritto internazionale, soprattutto laddove non viene minimamente considerato, sull’invio di armi verso un vero e proprio regime, rifilato ai più come modello di democrazia, sulle vere e reali motivazioni che hanno portato il Medio Oriente ad essere una polveriera.

E tutto questo non è da ricercare nella giornata del 7 ottobre del 2023, ma è figlio del colonialismo più sfrenato, appoggiato dagli Usa e da tutto l’Occidente, che ancora oggi guarda al massacro di Jabalia muto e con le mani sporche di sangue.

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