di Stefano Re
A mio vedere, quest’epoca di transizione si avvia alla sua ingloriosa e umanamente imbarazzante conclusione.
Parte dell’umanità, secondo la raffigurazione mediatica del “mondo umano” apparentemente maggioritaria, imprigionata nella sua ipocondria, ritoccata nei propri geni, disseccata del proprio spirito, piegata ad un assurdo appuntamento collettivo di suicidio medicale assistito, si avvia ordinata e mascherata verso il proprio mattatoio-formicaio di cemento e onde elettromagnetiche, in cui dimenticare costantemente la propria inevitabile caducità, vivendo immersi negli asettici analgesici di una realtà sempre più virtuale – nella grottesca e miserabile speranza di continuare a considerarla reale.
Un’altra parte dell’umanità, nei fatti enormemente maggioritaria, benché invisibile agli occhi del dio media perché vive in continenti “arretrati”, fuori dal circuito di eterno consumo e apparenza, prosegue o ritrova la via della terra, la via del corpo, la via dell’autocoscienza, la via dell’autodeterminazione, la via dello spirito che rende vivi in eterno.
Tutti quanti, nessuno escluso, stiamo affrontando questo bivio. Per ciascuno di noi, preparato o meno, occorre compiere questa scelta, prendere questa decisione. Libri antichi l’hanno definita “apocalisse”, cioè disvelamento: la nudità che emerge inevitabile dalle ombre e dagli inganni.
Il mio augurio a ciascuno di noi è di saper guardare a sé, senza farsi distrarre dagli strepiti incessanti, dal rintronante rumore di fondo di allarmi, minacce e promesse. Il mio augurio a ciascuno di noi è di saper restare nudo a se stesso, riconoscersi e scegliersi per chi si è.