Moro ucciso dal “deep state” e dall’intelligence americana
Nell’anniversario del rapimento di Aldo Moro, Francesco Gerardi intervista Tommaso Minniti: “Aldo Moro è stato ucciso per una decisione che proviene da certi ambienti del “deep state” e dell’intelligence americana“.
“L’AUTORITÀ dimentica un re morente”, scriveva il poeta inglese Alfred Tennyson. Una considerazione arguta, ma che diventa emblematica e finisce per trasformarsi in un vero e proprio assioma quando si decide di ripercorrere in modo critico la vicenda del sequestro e dell’assassinio dell’onorevole Aldo Moro.
Il 16 marzo del 1978: fu quello, indubitabilmente, il momento più nero della storia – di per sé già alquanto travagliata – della nostra Repubblica. Quei 55 giorni furono i più plumbei di tutti gli anni di piombo: l’inizio della fine.
«Lo voglio dire chiaramente: lo Stato ci ha nascosto, e ancora ci nasconde, la verità. Il racconto che per troppi anni si è fatto del caso Moro è la più grande espressione del falso di Stato, che ha sistematicamente dirottato e sviato l’opinione pubblica. Quella storia, invece, al di là della ragion di Stato che ha posto una pietra tombale su certe verità indicibili, ha tutt’altra natura».
Tommaso Minniti, attore e regista, è l’autore del docufilm “Non è un caso, Moro”, uscito online nel maggio del 2021 e basato sui due libri-inchiesta di Paolo Cucchiarelli “Morte di un Presidente” e “L’ultima notte di Aldo Moro” (Ponte alla Grazie) alla cui lettura, come ci ha raccontato Minniti, è stato indirizzato dalla stessa Maria Fida Moro, la figlia del presidente.
(Per vedere il film: https://www.noneuncasomoro.com/)
Qual è dunque questa natura diversa?
«Quello che raccontiamo nel film, in maniera estremamente documentata e in modo inoppugnabile, è che Aldo Moro è stato ucciso per una decisione che proviene da certi ambienti del “deep state” e dell’intelligence americana: una struttura segreta della CIA legata ai circoli oltranzisti dell’establishment».
Una vera e propria sentenza capitale. Ma per quale ragione?
«Be’, questo non è più un segreto, almeno per chi ha la pazienza di informarsi e vuole capire. Moro non era un obiettivo casuale, non è che poteva essere scelto alternativamente Andreotti. Il presidente della DC era infatti il granello di sabbia nell’ingranaggio, l’uomo che con la sua azione politica aveva turbato degli equilibri geopolitici internazionali delicatissimi e aveva imboccato una strada molto pericolosa, di cui peraltro era perfettamente consapevole. Tant’è che aveva già ricevuto precise minacce in tal senso pochi anni prima da Kissinger. Nonostante tutto, era andato avanti per la sua strada, perché voleva cercare una via italiana alternativa alle logiche di potere dominanti, quelle che risalivano a Cassibile e a Jalta e all’ordine mondiale post bellico. Tanto più che sarebbe stato un quasi sicuro presidente della Repubblica».
Moro insomma un po’ come Mattei, viene qui letto come un campione e un difensore della sovranità italiana. Un “sovranista” ante litteram.
«In fondo sì, potremmo dire così. Moro infatti voleva proseguire la politica energetica di Mattei, era l’uomo che emise le 500 lire biglietto di Stato e non di banca nel 1966, affermando così la sovranità monetaria degli italiani».
La stessa cosa che aveva fatto Kennedy prima di lui: entrambi finirono assassinati…
«Esatto. Il programma politico di Moro era quello di riportare, nella forma come nella sostanza, il nostro Paese ad una condizione di reale indipendenza. Vede, in Italia, come del resto in tutto l’Occidente, la democrazia è stata una storia ben raccontata, ma rimane incompiuta e forse incompiuta morirà. Per di più Aldo Moro era un vero uomo di fede e come tale decise di vivere aderendo alla verità fino all’estremo sacrificio. La sua morte non era lo scopo di quelle forze che abbiamo evocato prima, ma segnerà l’inizio di un nuovo ordine mondiale che ha come obiettivo un attacco all’uomo e alla sua anima. Negli ultimissimi anni abbiamo visto infatti gli sviluppi di questo piano diabolico».
E le BR?
«Le BR… Che dire. Non sono certo le BR che la vulgata ci ha sempre rappresentato. La realtà è tutta diversa. Oltretutto dalle inchieste di Cucchiarelli emerge chiaramente che Moro non fu mai detenuto in via Montalcini. In quel cubicolo che secondo tutta la saggistica e la cinematografia costituisce lo sfondo della prigionia di Moro, Moro non c’è mai stato! E poi ci furono trattative continue tra vari pezzi delle istituzioni e i carcerieri, i quali si sentivano minacciati appunto per l’intervento di quella “mano” d’oltreoceano, ed erano costretti a spostarsi spostando di conseguenza in varie tappe il prigioniero e lo Stato sapeva sempre dove si trovavano. Lo dicono tutte le testimonianze che presentiamo nel film, compresa Tina Anselmi che dichiara che tutti sapevano tutto».
(Per non parlare del fatto che Moro non arrivò mai – e quindi non era presente a via Fani – dove venne uccisa la sua scorta.
Moro venne sequestrato a Piazza Giochi Delfici, fuori la chiesa dove ogni mattina andava a Messa.
Due sono gli elementi a conferma di questa tesi: nonostante la pioggia di fuoco scagliata contro le due auto a via Fani, Moro ne sarebbe uscito illeso, secondo la vulgata generale.
Cosa impossibile.
Seconda riprova nessun cenno nelle lettere di Moro agli agenti.
Il leader Dc non sapeva di ciò che era accaduto a via Fani.
Le Br non erano infiltrate, erano – nella struttura generale e generalizzata – strumento organico del deep state e della Cia.
Infatti nessuno dei brigatisti ha mai detto la verità su Moro e via Fani.
Segno incontrovertibile di una condivisione pressoché generale di servire interessi atlantici.
Altro che “rosse”… erano sì una “stella a cinque punte”, ma una di quelle sulla bandiera americana. NDR)
Che obiettivo si è dato con questo suo lavoro?
«Quello che ci siamo proposti io e Paolo è di raccontare anche sullo schermo, con un linguaggio cinematografico, tutta la verità sul delitto Moro. Questa è una storia che tutti sembrano conoscere senza in realtà conoscerla affatto, ma guardando il film apparirà come nuova, sconosciuta, perché l’ho posta sotto una luce diversa. Lo spettatore viene preso per mano alla ricerca dei veri covi dove fu tenuto Moro, della dinamica dell’uccisione, dell’identificazione delle forze internazionali in campo. E tutto è supportato da testimonianze inedite di alcuni grandi protagonisti dell’epoca, non smentibili, come Claudio Signorile e monsignor Fabio Fabbri».
So che ha avuto dei problemi inizialmente, quando era in trattativa con certe agenzie per far acquisire i diritti dalle piattaforme televisive.
«Raccontare la verità non è mai un buon business. Comunque è vero, avrei dovuto togliere tutte le parti più scottanti per essere pubblicato sulle piattaforme. Me lo hanno detto a chiare lettere proprio nell’ultima telefonata: Tommaso dicci quanto vuoi, ci firmi la liberatoria e noi mettiamo il film nel cassetto. E così io ho salutato tutti e l’ho pubblicato da solo».
Rinunciare a contratti importanti affidandosi alla generosità del pubblico è stato un gesto di non comune coerenza.
«Io credo sia giusto che il pubblico italiano possa conoscere la verità, dal momento che i più ignorano gli aspetti determinanti di tutta questa vicenda, come la sequenza della morte di Moro. La gente ancora pensa alla smitragliata nel portabagagli della Renault 4. Noi invece collochiamo la morte nel posto giusto e con le modalità giuste. Moro stava attendendo la liberazione e qualcuno stava andando a prelevarlo, grazie ad una trattativa con il Vaticano che sembrava essere andata a buon fine. Poi però ci sarà l’intervento di quella che Signorile chiama la “cupola strategica”, che ne sanzionerà la morte e alla quale nessuno saprà, potrà o vorrà opporre alcuna resistenza. Di questa cupola le BR erano una parte non rilevante, erano diventate ormai una sorta di manovalanza. Quando viene decretata l’uccisione di Moro, nemmeno loro potevano fare più nulla».
In questi anni è stato chiamato in tutta Italia per fare dibattiti e proiezioni, anche nelle scuole. Che risposta ha avuto da parte dei ragazzi?
«Io vedo giovani che prestano un’attenzione straordinaria, quasi sacrale, durante la proiezione e questo è incoraggiante, far sopravvivere la memoria di Moro e passarla alle nuove generazioni è la ragione principale per cui ho fatto questo film».
Già. Non dimentichiamoci del nostro re morente.
«Non potranno mentire in eterno.
Dovranno pur rispondere,
prima o poi,
alla ragione con la ragione,
alle idee con le idee,
al sentimento col sentimento.
E allora taceranno:
il loro castello di ricatti,
di violenze,
di menzogne
crollerà».
(Pier Paolo Pasolini)