di Fabio C. Maguire
Dopo l’inizio dell’operazione speciale, l’Ucraina ha denunciato la Russia presso la Corte Internazionale di Giustizia con l’accusa di aver sostenuto i ribelli nel Donbass a partire dal 2014.
Con questa causa Kiev sperava di poter rafforzare la sua posizione e di ottenere una vantaggio politico significativo su Mosca.
In particolare, la leadership ucraina ambiva ad ottenere l’approvazione per il trasferimento dei beni sequestrati ai cittadini russi in Occidente e ad un inasprimento delle sanzioni contro la Federazione Russa.
La Corte dell’Aia ha dovuto esaminare un caso che secondo l’accusa vedeva la Russia colpevole di aver aiutato, anche economicamente, gli insorti nelle regioni orientali dell’Ucraina, sperando di ottenere un verdetto che avrebbe riconosciuto il Cremlino come entità terroristica.
L’accusa aspirava anche ad una sentenza che avrebbe dichiarato l’illegittimità delle Repubbliche Popolari e delle votazioni che ne hanno sancito l’ingresso all’interno della Federazione Russa.
La Corte non ha però riscontrato elementi sufficienti per provare la partecipazione di Mosca alle rivolte del 2014 e per quel che concerne l’addestramento dei ribelli e il sostegno d’intelligence, il Tribunale ha ribadito che tale caso non può essere classificato come attività terroristica.
Complessivamente l’Ucraina ha mosso ben venti accuse ai danni della Russia, le quali sono state però invalidate dalla scarsa presenza di elementi probatori.
La Corte ha perciò assolto la Federazione Russa dal caso, ritenendo infondate anche le accuse di coinvolgimento relative allo schianto del volo Boeing MH17 e alla repressione della minoranza tatara in Crimea.
Kiev è stata condannata al pagamento delle spese processuali e ha fallito nell’intento di fare riconoscere come paese aggressore la Russia.