Una delle poche buone notizie che abbiamo avuto in questi mesi di oscurantismo politico ed etico è costituita dall’azione intrapresa dal Sudafrica per rianimare una istituzione dell’Onu, la Corte Internazionale di Giustizia, affinché giudici indipendenti valutino l’azione criminale del governo di Netanyahu a Gaza e denuncino, se del caso, l’intento genocida. Il Sudafrica è consapevole che l’eroica storia di liberazione dal regime di apartheid è stata possibile grazie alla solidarietà internazionale. Combattere l’apartheid in ogni sua forma è nei cromosomi del popolo sudafricano. Capetown non dimentica l’appoggio dato da Tel Aviv al regime sudafricano con cui ha condiviso la tecnologia, anche nucleare.
Abbiamo ascoltato le arringhe degli avvocati sudafricani con l’incredulità di chi ogni giorno vede il diritto, l’etica e la verità seppelliti dallo spazio politico-mediatico occidentale e ha perso la speranza in una politica in grado di perseguire la composizione degli interessi per il bene comune. Il ministro degli Esteri Tajani, scimmiottando Blinken, si è sostituito ai giudici della Corte, ne ha usurpato titolo e ruolo, per assicurare che Israele è innocente. Ha poi rivolto un appello a Tel Aviv affinché faccia attenzione e non massacri troppi civili. Questo è lo spettacolo surreale a cui abbiamo fatto l’abitudine.
Qualcosa tuttavia sta cambiando con Gaza. Il risveglio della società civile, la pietas e l’indignazione di fronte alle stragi di innocenti non possono essere a lungo ignorate, purché la mobilitazione per il cessate il fuoco continui. Gli anglo-americani, pur sapendo che l’operazione militare è inefficace in quanto gli Houthi sono un gruppo di resistenza armata sopravvissuto ad anni di bombardamenti sauditi, paragonato per la resilienza da alcuni ai Vietcong, alimentano le tensioni, sperando che infine vi sia l’opportunità di una guerra all’Iran. La difesa della libertà di commercio non è l’obiettivo dei bombardamenti (contro il diritto internazionale) dello Yemen, ma lo è l’escalation le cui conseguenze negative di breve periodo sono state già tenute in conto. I popoli europei e il loro benessere economico sono allegramente sacrificati per strategie che ci trascendono, essendo a vantaggio delle oligarchie delle armi e dell’energia. Non sarei sorpresa se si stesse tentando contro l’Iran quel che è fallito contro la Russia.
Zelensky, personaggio tragicomico, che incarna il grottesco di un Occidente che ha perso l’anima, si aggira per Davos distribuendo abbracci ai suoi aguzzini, i leader dei Paesi Nato che, dopo averlo spinto a una guerra insensata contro l’invasore russo, al fallimento del Paese e alla decimazione di una generazione, lo guardano con malcelata compassione, convinti che verrà presto il momento di abbandonarlo. Per ora l’Europa continua a inviare armi e finanziamenti, mai sazia di sangue. Non si può perdere la faccia e bisogna salvare il soldato Biden. I politici e i commentatori che hanno sbagliato tutti i calcoli in relazione alla resistenza del regime di Putin e alle risorse economiche e
di potenza della Russia, invece di chiedere scusa all’opinione pubblica occidentale e a inginocchiarsi di fronte alle madri ucraine che hanno perso i figli, continuano a pontificare.
Stoltenberg ci spiega che possiamo vincere e che siamo riusciti a evitare la marcia di Putin su Kiev. Una nuova propaganda è alimentata sui giornali principali: la Russia mirerebbe ai Baltici e perché no, alla Svezia. Non esiste alcuna prova di queste intenzioni attribuite a Mosca: al contrario i politologi e gli analisti seri, da Baud a Mearsheimer e a Sachs, hanno illustrato come la Russia non abbia mobilitato nel 2022 le forze che avrebbero potuto giustificare l’intenzione di prendere Kiev. L’unico obiettivo era il Donbass, regione ricca di risorse naturali e la cui popolazione è filorussa. Oggi, dopo due anni di guerra, dato che le proposte di mediazione russe sono state respinte dall’Occidente, Putin punta a Odessa.
La Russia non costituisce una minaccia all’Europa, a meno che la nostra espansione strategica non minacci direttamente la sua stessa sopravvivenza. In tal caso, secondo la dottrina militare russa, Mosca potrebbe utilizzare le armi nucleari come estrema difesa. Di fatto Putin giudica e condanna le discriminazioni oggettive cui vanno incontro i russofoni nei Paesi baltici, in particolare in Lettonia. I principi basilari di protezione delle minoranze linguistiche sono da anni violati contro le popolazioni filorusse, con la piena complicità delle classi dirigenti europee.
Si mente come si mentiva sul Vietnam. La propaganda di guerra sarà nota alla prossima generazione come oggi si conoscono le stragi di civili, i 20 milioni di morti causati dal 1945 in poi dagli Stati Uniti, nell’èra chiamata paradossalmente “dopoguerra”, come lo studio di James A. Lucas ha dimostrato.
di Elena Basile – Il Fatto Quotidiano.